Resta straniero (XI)

Resta straniero (XI)

Superata la soglia della decina, i trittici di Leonardo esplorano sempre di più l’alterità e il suo richiamo.

Il richiamo ha un doppio valore. Può essere la sua capacità di un oggetto – o di una voce – di attrarre a sé, grazie alla sua malìa. Ma il richiamo, dall’altra parte del filo comunicativo, è anche, per chi lo lancia, un’apostrofe, un grido, un ammonimento.

Statelo a sentire, rispondete alla sua eco. Buona lettura!

Continua a leggere “Resta straniero (XI)”

Resta straniero (X)

Resta straniero (X)

[1] S.

S.

Parlavano di quando il regalo di natale
era un pezzo di torrone
e gli sforzi del padre ripagati dal sorriso
le paure della madre che contava
ogni rame.

Quante stelle poter mettere
in una bottiglia di cedrata, quante lucciole
in un cappello di paglia.

Nel frattempo, è finito il torneo.
Il bar che si svuota.

Fuori, tra gli alberi, una civetta grida.
La immagino ubriaca tornare,
adagio togliere le penne alla preda
senza far rumore.


[2] Unghie di ferro.jpg

Quattro unghie di ferro

Osservi quelle mani districarsi
tra il sangue e la bilancia.
La precisione veloce
nell’eseguire il taglio e avvolgere,
quasi fosse un’affermazione.

Reciti la stessa padronanza
ora che togli le bende
a quella mummia in miniatura.
Una perizia dello sguardo che affonda
la tenerezza rapito.

Per un tempo senza orario sulla soglia
poi sul bianco di una tela in porcellana
quattro unghie di ferro
gocciano smalto.

E la memoria occidentale è carne
come un libro d’arte

Tutta la memoria lo è.


[3] Come un aeroplano di carta sulle montagne russe.jpg

Come un aeroplano di carta sulle montagne russe

Una falena schiaccia il 7 alla fermata
il metronotte che passa
la uccide con un colpo di fionda.
Trionfante riprende la ronda, si lascia alle spalle
i preti della chiesa di fronte
mentre ballano al ritmo di una marcia.
L’albero si accorge che non sai,
ma non fa in tempo a strapparti la faccia,
ché un rumore di verde
attraversa le serrande e diventa i tuoi occhi.
Si sono aperti gli orologi
e ne è uscito un respiro pesante,
un sussulto anagrammatico.

Eccoti a contare sul vetro
i corpi di moscerini ciechi, o suicida…
Avevi creduto di poter comandare
te lo avevano spiegato bene.
Neanche l’altra volta riuscisti,
ma almeno provasti l’esperienza del volo
(come un aeroplano di carta sulle montagne russe):
eri un supereroe di mezza età
che stava tentando di rientrare nel giro.

Resta straniero (IX)

Resta straniero (IX)

materassi in una stanza illuminata di rosso

Un’altra pronunciazione di te

Mi stai raccontando un sogno che non ricordi.
Torino gioca alla lotteria delle sagome
e tu, con due menti e un solo corpo, bruci
un vestito da sposa
regalandolo, poi, alle acque della Dora
una faccia di plastica
che si scioglie sulla strada, con cui segnalare
ai soccorritori la loro stessa bugia.

E gli alberi iniziano a pettinarsi capelli
in un grande abbraccio di rami
in un’orgia che diviene un balletto di paure
mentre sdraiata ridi, isterica, al sole di notte
con un Eccomi qui invochi
il vento che discolpa la voce che non torna,
i movimenti sulla soglia, la voglia
d’inchiodare il tempo con le ossa di sua figlia.

Le lettere non offrono altro che fame
quando ti spezzi e ti lanci
in briciole di ragione
a pesci che corrono, pirati, e trafugano il tesoro.
Così rischiara il cielo, uno splendido lutto,
e sull’altare di una qualche verità
pronunci Si, nuotando col caldo nel corpo
tra onde di saliva, verso ciò che non sai trattenere.


spiraglio di cielo fra mura resta straniero nove

Quattordici giorni di marzo

“Chi è stato a lasciare la schiena
lì, al centro esatto
della scena che non mi ha più convocato?

Mi sono dovuto adattare
un’altra identità, e strisciare fino alla porta.

Quella mano che mi ha aperto
gli occhi era la mano
che nasconde al giorno ogni inizio.”


orizzonte marino restra straniero nove

Un castello sul bagnasciuga

Lì, in una foto dove un grammofono tace
al sole, sulla sabbia, come dopo. Dopo
un’inondazione o qualcosa di simile al fallimento
del nostro parlare e mai dire. Dimmi:
chi è l’uomo sullo sfondo?
Non sente che il mare è contorto,
un contorno rivolto a se stesso
bisognoso di rese e non di invadenza?
O forse intendiamo,
possiamo intendere e basta. Forse tu:
la ragazzina che striscia sulle conchiglie
coi capelli legati in una treccia,
e la donna, poco dopo, con l’odore di salsedine
tra le cosce e le unghie,
lo smalto colore orizzonte.

Allestita a leggerezza quella mano
tiene stretta la bottiglia con dentro le labbra.
E una rondine cobalto affronta
il cielo bianchissimo,
mentre un messaggio procede convinto, ostinato,
abbandonato alle onde prima ancora di uno scatto
precisissimo.
Il cane corre corre alza la gamba
all’improvviso
cade pioggia come grida di anziani al luna-park.

Vorresti entrare a controllare
ci sia ancora qualcuno a difendere le impronte
con il tempo, o nonostante,
ma ti appartiene solo il contesto:
tutto ciò che ti fa vivere
anche qui, anche fuori dall’inquadratura.

Resta straniero (VIII)

La mano che batte sul muro

Nella piazzetta fratelli
così diversi da vestire ombre identiche
e tanto vicini d’apparire incomprensibili.
Ora il caldo resuscita
ogni miraggio: le grida a piedi scalzi, di casa in casa,
le sfide dei sassi sulle finestre,
gli schiaffi dei colori, come tramonti autodidatta,
l’immunità agli agguati della trama

«Tana per tutti»

Così, in piena estate uccidere il tempo,
mostrarne con orgoglio il corpo
prima di urinargli addosso.

resta straniero VIII Continua a leggere “Resta straniero (VIII)”

Resta straniero (VII)

Il nodo fra immagine e identità non è nuovo nelle poesie di Resta Straniero. Ma cos’è l’identità senza la consapevolezza del ruolo che si ha? Non è forse il ruolo a costruire l’identità?

Se lo fa, lo fa agendo per scarto, con la decisione davanti ad una scelta, ad un bivio. Eppure la parzialità non è limite: non ci rappresenta, ma ci riassume nel movimento che ci costituisce, come individui e come parte di una collettività.

In una zona di attacco e di frontiera

Un giorno scopriranno i nostri ritratti di polvere
sullo schermo e sulle vestaglie,
i passi incisi nel legno, come ideogrammi da parquet,
e il respiro dell’atmosfera incollato nella cera
quando le ciglia della luna prenderanno fuoco in casa.
Lì, dove insonne scavi attese di certezza
traducendoti in diagnosi di fragilità
(“Sei in grado di proteggerti, ma ancor più di dimenticarlo,
come coloro che in realtà non cercano un rifugio”)

È lì che l’idea si sposa con la carne e con le ossa,
mentre i fanali, tagliati, giocano a comanda color
Troveranno, allora, anche i nostri negoziati di ombre cinesi:
dualità blaterate alla platea
in uno scenario preciso, senza supporti didascalici.

Un’ansietà di immagini e sollievi,
prima di togliere la pelle, di indossarne un’altra,
e centinaia di istanti a occupare il posto di nessuno:
il movimento è qui
che prende significato. Continua a leggere “Resta straniero (VII)”

Resta straniero (VI)

“Come una biglia, dal contatto alla fuga”. Le poesie di Leonardo Selvetti sono questo, un incontro mancato, una coincidenza persa seppur intravista, quasi toccata con mano. Sono poesie di corpo e di identità, alla ricerca di un punto di giunzione. Poesie viste da uno specchio, unico modo per evitare la marmorizzazione.

C.G.

“Domani pulirai quel ricordo”

Un tripudio carnale nella doccia
dove l’acqua non contamina il sudore
né lo nega, dove non c’è morsa
di affettività dovuta.
Simile al sapone che torna cenere
un gusto si apre, dalla bocca alla vita
oltrepassa la febbre, l’orbita
di una sorte che sembra incontentabile.

Scarti, mille identità nella tua, e stai
immobile alla finestra, attenta
a non mischiare gli occhi sulla strada.
Soltanto una schiena resta,
una traccia indefinita del vorrei.
Non arretri, dama di cortesia, né ospiti
i cresciuti nella condivisione
i marchiati dal sangue e dalla voce.

Sul divano tra i fiori e gli sbuffi di fumo
si esibisce l’aroma del tuo scheletro
quell’unico istante che ci coincide dentro,
come in un quadro di Freud. Continua a leggere “Resta straniero (VI)”

Resta straniero (V)

Resta straniero si nutre dell’alterità. Fra riflessi diversi del proprio io, fra l’io e la massa a cui, talvolta, appartiene.

A volte si tratta – come nel primo testo – di divenire parte di un flusso fisico; altrove – come nel secondo – di un flusso storico, all’interno del quale ogni biografia cerca di orientarsi. Un dialogo fra fisicità e sembianza che si consolida in sentenze: Resta solo ciò che tradisci.

Continua a leggere “Resta straniero (V)”

Resta straniero (IV)

La minuzia dell’occhio che segue la pista di formiche, pensando che porti alla soluzione: la rivelazione finale dello scarto fra percezione ed essenza. “Cerca di capire, non si tratta di dimenticarti, ma di farti sparire: «renderti invisibile», perché il tuo esserci mi aiuti a ricalibrare l’esterno e ritrovare il baricentro”. Questa sembra la richiesta di chi parla, nel nuovo trittico di Leonardo Selvetti.

Senza appiglio, l’io si trova confuso davanti a un «miraggio disinnescato»: davanti ai suoi occhi la frattura fra parola e cosa, fra sembianza e sostanza. Si acuisce l’«asincrono» fra io e mondo. Eppure, forse non è interdetta la pacificazione di chi, senza reti protettive, in un’istantanea di epifania vede il momento e aderisce ad esso senza condizionamenti.

Chiara Gaspari

Nel bosco dei princìpi

Nel bosco dei princìpi a scavare coi denti
l’ultimo strato di neve, la schiena del prossimo
ch’è deserto. Ed il sole soggiorna sui reciproci
condizionamenti, avido come una fiaba
quando indica nell’orco la via d’uscita.
Né l’orario che si riveste al buio
col muschio dei tempi che avanzano inespressi,
né la parola che inchiostra
tra le sagome e gli specchi un debito ottuso,
potrebbero prestare un’idea
in cui proteggerti. Così, si resta guardando il fiume
a bastarci. Mentre l’arabesco dei mai nati
è una corona sulle dita delle mani
ti scortichi la pelle, nei suoi seni,
promettendo già adesso quell’unico ricordo.
Quell’unico ritratto che somiglia e sa
dialogare onestamente con le nuove sembianze.

Dove passano le formiche, dove ogni mollica grida

Perché lasci sempre le tue sere
già vissute nel letto delle mie? Come un rosario
tra le dita, senza più propositi di preghiera.
Ma dovresti conoscere questo bisogno
di un errare che riposizioni al centro,
e poggiare gli occhi sui miei se ti rendo invisibile
anziché scambiarli con un facile lamento.

Dove passano le formiche, dove ogni mollica grida,
dove i dubbi si arrampicano sul muro
e ci crollano dentro:
ogni sospiro risuona da un labirinto di altoparlanti.

Su queste labbra prese in prestito
resta un confine asincrono, l’abito a festa della distanza.

Un attimo prima di sprecare il nemico

La reticenza è cambiata, guarda:
il vento fa lacrimare la notte,
domani dovremo scendere a ripulire il deserto.
– Disse la sentinella.

In una stagione di miraggi disinnescati
lo sguardo attraversando ciò che rappresenta un luogo
rifonde la parola, i princìpi di aderenza.

Non distrarti nei fuochi esatti: resta a cercarti
dove concedi e non sai esibirti.
– Rispose.

 

Resta straniero (III)

Melogrammi legge la poesia contemporanea, quella di Leonardo Selvetti, come si guarda l’orizzonte da un preciso punto di osservazione. Farsi straniero nella realtà, salire sopra la città e fermarsi, al tempo del proprio respiro, davanti allo spettro visibile: lasciarlo parlare.

Lo straniero sta fra il reale e l’illusorio, le sembianze e i corpi, fra incontro e dispersione, città e individui. Nel punto medio rimane uno spazio di resistenza e alterità: lo spazio della poesia, tentativo di emersione dal caos e oggetto probatorio.

 

Persona

Sul muro una danza di lampeggianti sagome
come ad un party di fotocopiatrici
mentre dita cercavano dita
dita pronosticavano la sommarietà del tempo.
E la città declamava a grida elettriche
il nostro posto nel mondo, la nostra condizione
imprigionata tra il fidarsi sudato
e la trama di un film del ’66.
“Restiamo qui…

…finché non riprende la ronda dei rumori”.
Dama delle sigarette, ti ho vista entrare nel ricordo
e tramutarlo in carne, ma la voce
la voce si perde come dentro un tarocco.

 

L’incontro bagnato dei corpi

Dove sono le pietre che lanciavamo
così forte da renderle illusione
o un’inconsapevole verifica di reale?
E gli occhi inondati dal sole, strettissimi, avidi
sospendevano sia sfida che omelia.
Nei cerchi dove l’attimo cede
senza barare, cercavamo un primato inaffondabile:
l’incontro bagnato dei corpi…

“…perché il rischio è confondere
alghe e capelli, lingue e vuoti di conchiglie,
in un riflesso gigantesco
immergersi, soli, convinti di conoscerne il respiro”.

 

Dall’altra parte del discorso

Come quando alle sette era previsto un attacco.
Dentro il nascondiglio di due metri per due.
Come quando alle sette ed un minuto
nessuno rispose né giunse
con piani di tregua, alla testa di una realtà imbrogliata.

“Ciò che affronti ha una memoria identica a quella che indossi.
A differenza tua, però, è in grado di riscrivere la storia.”

Mentre attendiamo che asciughi la trama,
qualcuno che rispieghi i colori, o per capriccio
raccolga quei proiettili fantasma,
ci scambiamo un abbraccio di pura inconsistenza.

Resta straniero (II)

Polvere e cerimonia

Scostavi la tenda, ogni volta, di scatto
se a soffio di vento muoveva
liberando uno stormo di echi nella stanza.
Impaurita dai fantasmi?
È che m’impedisce di guardarli negli occhi.

E riprendere a suonare, a dirigere
le dita con più ferocia.
Quel pianoforte a coda di tua madre, ed ora
un ricettacolo di polvere e cerimonia.

Faceva in modo di non aver mai silenzio
né buio, in giro per casa.
Come avessi dovuto intuirlo dal tono

A chi ti riferivi e perché. Riprendevi,
devastando ogni indugio con l’Incompiuta.

E lo stormo danzava, ora indivisibile.

——————————-

Alfabeto sospeso

Nel corpo temibile ho conosciuto il fragile,
nel seno col neo è scomparso ogni prima
ogni gesto richiesto da nuovo
cronometro al centro del primo sguardo.
E la lingua la mano una fede
ha svolto gli enigmi dei possibili, ogni azione
per strappare piacere in un grido
nel pieno ricadere
sul prodigio di sartoria, sulle tempie dell’umido.

Delicato il tempo si presta a nessuno
disgiunto ma insieme
confuta i verbi dell’equivoco, la malizia giurata,
tra i fianchi dell’alta marea
dove il seme impara a nuotare, prepara
la spedizione che il buio ignorerà.
“Un’eco di mani che attraversa la schiena,
dopo il separarsi di due nascere”.
Così spiega la tenerezza chi non può negarla.

—————————–

Cosmesi

Ed ora che osservi ciò che ne resta
deformato sulle dita
l’addome fragile all’istante e la lingua
un odore che strusci sulle labbra
quanto detrimento in artificio di cosmesi?

A volte ignoro perché fare buio
sia necessario a riconoscersi.

Non avresti potuto schiacciare le lucciole,
la luminescenza ti avrebbe detratto
sincerità. Ora che intingi l’unghia
in quello sterminato oceano di sangue
un intero millimetro di verità

Puoi tracciare una linea che sa prevederti,
ma non per questo condurti.

Blog su WordPress.com.

Su ↑

Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia ora